Roberto Sicilia è già amico di questo sito.
Adesso è giunto il momento di conoscerlo un po' più da vicino.
Vi propongo una sintesi molto, molto ristretta del suo valido pensiero.
D.R.
"La dimensione di un poeta
Come abbiamo visto, se la poesia è la massima espressione della Verità, la Verità è la massima espressione della Consapevolezza.
Ma, se il poeta esprime al massimo grado la Consapevolezza, un uomo che non scrive alcun verso può raggiungere un alto livello di Consapevolezza? Sì, questo è stato dimostrato dalla psicologia dell’evoluzione, in particolare dagli studi relativi agli eroi della consapevolezza. Se consideriamo come prerogativa essenziale del poeta la consapevolezza, possiamo ritenere valida l’affermazione di Libero Bovio “Si può essere grande poeta senza aver scritto un sol verso”.
Comunque, alla luce delle connotazioni che definiscono la verità in maniera piuttosto determinata, ci sembra legittimo approfondire adeguatamente quella che è la struttura psichica del poeta e quindi distinguerlo dalle altre categorie umane. Chi è il vero poeta?
Nel capitolo “Che cos’è la poesia” abbiamo già delineato alcune sue peculiarità. Anzitutto egli è un altruista, un uomo che si angoscia per la sofferenza dell’umanità intera e, ovviamente, per quella di tutti gli esseri viventi della Terra.
Questo tratto fondamentale del poeta, ovvero la sua elevata sensibilità che gli consente di immedesimarsi nella condizione psicologica dei suoi simili, però, non appartiene soltanto al poeta. Anche altri uomini con diversi ruoli sociali hanno dedicato la loro vita alla realizzazione della visione etica dell’esistenza.
L’ampia dimensione della conoscenza, l’elevato grado di consapevolezza e la ricerca della perfezione possono essere delle prerogative che si riscontrano anche in altre categorie umane che hanno contribuito notevolmente al progresso dell’umanità.
Allora, cosa distingue essenzialmente l’identità del poeta?
Il poeta vive una certa coerenza etica, ma non è un missionario, né un politico, né altro. Possiede un alto livello di conoscenza, e soprattutto un consistente bisogno di conoscere, ma non è un uomo di scienza. Conosce e crea i canoni della bellezza, ma non è un pittore, né un musicista, né altro.
E’ vero che il vero poeta crea la poesia, ma qual è la chiave che gli consente di accedere ad essa?
Mediante la sua sensibilità costituzionale e il suo alto livello di consapevolezza, egli percepisce pienamente tutte e tre le forme di verità: etiche, cognitive e artistiche. Queste tre dimensioni della verità esistenziale dominano la sua mente contemporaneamente e costantemente, proponendosi, spesso, in maniera conflittuale.
E’ ovvio che il conflitto non sussiste soltanto sul piano teorico, mentale, nell’interazione che si viene a determinare tra le immagini delle tre forme di verità. Esso si rivela anche tra le immagini delle verità e la cruda realtà esistenziale.
La sofferenza del poeta
Da sempre la condizione dell’essere-poeta è stata associata a quella della sofferenza. Spesso la sofferenza si è rivelata nei versi malinconici dei poeti nostalgici, o nelle vaghe teorie dei critici sentimentali. Anche qualche psicologo ha considerato la sofferenza come la motivazione primaria che determina l’orientamento poetico.
Ma cos’è la sofferenza per il poeta?
Di certo essa non si identifica con un particolare fenomeno che viene vissuto a livello emotivo. In ogni caso, non implica la connotazione psichica del subire.
La sofferenza non ha un’origine fisica, né psichica. Non è provocata da un mal di denti, né da un mal di pancia, ecc. Non deriva dal rimpianto, dalla tristezza per la perdita di qualcosa o di qualcuno, né dalle varie paure umane.
Inoltre non si tratta di “angoscia esistenziale”, ovvero di uno stato di perplessità provocato dalla molteplicità delle scelte potenziali in cui si viene a trovare l’uomo dinnanzi alla realtà. Né tanto meno la sofferenza del poeta può essere riferita ad una mera coscienza dell’assurdità della vita, dell’assoluta inconsistenza di essa di fronte alla morte.
Al contrario di ogni visuale parziale e riduttiva, la sofferenza del poeta è provocata dalla lucidità della sua coscienza. Una coscienza che opera nella pluralità dimensionale e conflittuale di quelle che sono le verità da lui percepite.
E’ proprio il groviglio di immagini, delle verità insite in esse, il loro susseguirsi con tutte le varie spigolature, incongruenze e dissonanze, che provoca il tormento nella mente del poeta.
Questo particolare stato di sofferenza viene vissuto soprattutto a livello interiore, mentale. Ma più si acuisce l’intensità di esso, più il poeta sente il bisogno di trasferire la sua dinamica conflittuale sul piano della realtà, per mettere alla prova la consistenza e la valenza delle sue stesse verità. Ovvero egli cerca l’urto, lo scontro nel mondo oggettivo, per capire meglio il proprio meccanismo psichico, i propri limiti, sia presunti che reali, le proprie motivazioni.
L’urto implica sì uno scontro, ma al tempo stesso rappresenta un ponte gettato sul fatidico fluire di eventi e di forme reali dalla totalità dell’essere del poeta.
E’ ovvio che esistono infinite modalità di porsi in attrito, in confronto col mondo esterno. In ogni caso, però, l’urto implica sempre un approccio di carattere emotivo. O meglio, può essere definito una sfida sostenuta sì sul piano motivazionale reale, ma condotta e gestita mediante una sequenza di coinvolgimenti soprattutto emotivi, piuttosto rischiosi per qualsiasi essere umano.
La consistenza della sfida può variare dalla semplice osservazione, o focalizzazione di determinati fenomeni e problematiche varie, alla scontro diretto, più o meno incisivo, con la loro presenza effettiva.
In ogni caso, il vero poeta sa, soprattutto a livello inconscio, che proprio dall’urto egli può attingere nuove certezze, nuove conferme, ovvero un’evoluzione di quella che è la sua consapevolezza. Quella consapevolezza che, con la luce della sua visione unitaria delle varie forme di verità, lo pone al di sopra di ogni paura sia della vita che della morte, e quindi gli apre nuove vie della conoscenza, del sentimento e dell’arte.
A questo punto, molto significativa e profonda può essere definita l’affermazione di H. Hesse: “Io non credo a quei poeti dalle cui menti, si dice, i versi prorompono già compiuti, come dee corazzate. So quanta vita interiore e quanto sangue rosso vivo, ogni singolo verso autentico deve aver bevuto prima di potersi alzare in piedi e camminare da solo”. Lo scrittore, con l’acutezza della sua metafora, “sangue rosso vivo”, ci indica pienamente l’intensità della sofferenza che precede l’atto creativo del poeta."
Venerdì 09-09-2011 a Pordenone - Articolo del Messaggero Veneto
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